RIFLESSIONI SULLA RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI

RIFLESSIONI SULLA RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI

RIFLESSIONE DI PIETRO PAVIOTTI

Trieste, 17 luglio 2014

RIFLESSIONI SULLA RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI

L’articolato intervento del vicedirettore del Messaggero Veneto, Giuseppe Ragogna, mi stimola ad intervenire su una proposta di riforma che come gruppo dei Cittadini ci vede fortemente impegnati. Propongo un approccio semplice e di tipo divulgativo, che deriva in larga parte dalla mia lunga esperienza di amministratore locale.
Tuttavia, questi non saranno gli unici “dossier” sul tavolo del coordinamento: ciascun componente è chiamato ad occuparsi, con spirito propositivo e costruttivo, di un’area specifica dell’attività politica dei Cittadini: dalle politiche sociali nel loro complesso, a quelle per la montagna, alla cultura, all’istruzione, «affinché – ha concluso Gregoris – il coordinamento sappia dare il proprio contributo al gruppo consiliare regionale e sappia raccogliere gli input derivanti dal mondo civico provinciale. Non saremo una “scatola chiusa” ma, al contrario, ci interessano i contributi in termini di idee e di proposte di quelle persone appartenenti a movimenti civici che nelle prossime settimane ci impegneremo a contattare ed incontrare».

Se dovessi spiegare a dei neofiti di cosa tratta la riforma delle Autonomie locali inizierei da qui: ci siamo accorti (non solo noi, ma l’Italia intera) che l’organizzazione politica ed amministrativa delle nostre comunità si regge fondamentalmente su due pilastri , ovvero la Regione e i Comuni; le Province sono, di fatto, organismi superati dal tempo e dagli eventi ed i cittadini si riconoscono nei sindaci per i servizi di scala locale, mentre per la programmazione più alta (sanità, grandi infrastrutture, lavoro) guardano alla Regione.

La riforma di cui parliamo parte, dunque, da questa considerazione e dopo aver già previsto, con legge statutaria ora all’attenzione delle Camere, il superamento delle Province (PDLN n. 1) ci si propone di organizzare il nuovo modello di tipo duale, anche prevedendo il trasferimento delle competenze oggi provinciali a Regione e/o Comuni.

Non è un’operazione semplice e il primo problema deriva dal fatto che i Comuni potrebbero risultare un pilastro esile per raccogliere una sfida così importante e questo è dovuto alla nota frammentazione delle municipalità in agglomerati spesso piccoli o piccolissimi. Bisogna allora spingere i Comuni a proseguire su una strada peraltro a loro ben nota che è quella della aggregazione. Una strada nota perché i Comuni hanno un’esperienza venticinquennale nella gestione associata del servizio sociale, perché operano da anni con convenzioni e perché la Legge Iacop (L.R.1/2006) li ha già indirizzati in tal senso. Si tratta, adesso, di sistematizzare l’esperienza, rendendola, di fatto, definita e obbligatoria. La cosa più facile sarebbe quella di obbligare la fusione di un certo numero di piccoli e medi Comuni per farne uno solo e grande, ma questo si scontrerebbe con le legittime volontà delle comunità di mantenere la propria identità (storica, culturale, geografica) ovvero di arrivarci (al Comune grande) in un futuro, ma con gradualità e autodeterminazione. E allora non esiste altra strada se non quella prevista dalla proposta di riforma dell’assessore dei Cittadini, Paolo Panontin, che prevede un organismo, l’Unione di Comuni, che avrà alcuni compiti ben chiari e ben definiti per rendere i Comuni più forti e in grado di raccogliere la sfida del futuro.

Cosa dovrà fare l’Unione? Deve impostare e gestire, soprattutto, le politiche di programmazione e di coesione territoriale, dopodiché potrà occuparsi di quei servizi che i piccoli Comuni non sono in grado di garantire da soli e che solo attraverso una “gestione associata” possono essere resi a tutti i cittadini e in modo, per quanto possibile, uniforme.

Alcuni esempi (non esaustivi) di programmazione e di politiche di coesione territoriale:

a) La redazione del Piano Struttura dell’Unione – significa che le grandi scelte di pianificazione territoriale e urbanistica si faranno assieme, e questo per due motivi: per attuare una politica di sviluppo intelligente e condivisa, che sappia valorizzare il territorio nel suo insieme; per evitare la proliferazione disomogenea di zone artigianali o di centri commerciali o comunque di scelte urbanistiche avulse dal contesto e che consumano (male) il territorio;

b) La redazione dei documenti di programmazione territoriale che intervengono sull’economia, sul commercio, sulle infrastrutture, perché le ricadute di queste scelte avvengono sull’area vasta e non nel singolo ambito comunale;

c) La gestione associata del servizio sociale secondo un modello anticipatore della Regione Friuli Venezia Giulia, che tutta Italia ci ha copiato. E, in questo caso, basterà semplicemente continuare a fare quello che già si fa assieme da oltre 25 anni!

d) La gestione delle politiche ambientali immaginando un “ufficio ambiente” che nessun Comune è oggi in grado di fare da solo ma che, invece, un ambito più grande potrebbe permettersi;

e) La gestione dello Sportello Unico per le Attività Produttive;

f) La progettazione europea, tenendo in conto che la possibilità di accedere ai fondi strutturali rappresenterà una delle maggiori fonti di finanziamento nel futuro. Anche in questo caso è chiaro che i piccoli Comuni, da soli, non avrebbero nessuna possibilità di accedere a queste opportunità;

Alcuni esempi (sempre non esaustivi) di servizi che meglio potrebbero essere gestiti in forma associata dall’Unione di Comuni; parlo di servizi che un piccolo Comune non può realizzare e, soprattutto, gestire da solo:

a) Il servizio di asilo nido;

b) I servizi per gli anziani, in particolare le “casa di riposo”;

c) Servizi culturali quali: teatri, biblioteche, ludoteche;

d) La gestione dei servizi informatici dei Comuni;

Ai Comuni singoli rimangono, finché lo riterranno opportuno, quelle funzioni e quei servizi le cui ricadute sono essenzialmente riferite all’ambito locale. Tra questi: il piano regolatore e il piano del commercio comunale, il piano del traffico (coerenti con il piano struttura territoriale); i servizio anagrafe, ragioneria, tecnico e manutenzioni.

Due temi rimangono in discussione: la dimensione (il perimetro) dell’Unione e la “governance”.

Riguardo al perimetro ritengo che se operassimo oggi sulla base degli attuali ambiti sociali (come previsto dalla proposta Panontin) non sbaglieremmo perché si tratta di ambiti omogenei e storicamente riconosciuti; perché in questi territori è ben sedimentata una positiva consuetudine di collaborazione tra i sindaci e, infine, perché la loro dimensione sembra, tutto sommato, adeguata e ragionevole. Pensare ad ambiti molto più grandi può risultare affascinante, ma c’è il rischio di porsi un obiettivo troppo ambizioso e fuori scala.

Riguardo alla “governance” e al ruolo dei Sindaci e dei Consigli comunali, delle maggioranze e delle opposizioni, ritengo difficile immaginare una nuova assemblea dell’Unione troppo grande e dispersiva per poter rappresentare tutti. Si possono pensare varie formule che contemperino l’esigenza della giusta rappresentatività senza formare organismi pletorici. Dopo aver ascoltato alcuni amministratori, sono portato a proporre un sistema che preveda la discussione preventiva e il voto dei singoli Consigli comunali sui provvedimenti strategici più importanti che l’Unione intende assumere. All’assemblea dell’Unione potrebbe così partecipare solo il Sindaco, ma avendo un mandato e disponendo di un voto ponderato che deriva dall’espressione del suo Consiglio comunale.

Un tema che sta molto a cuore sono i costi di queste “governance”: è bene dunque precisare che la partecipazione a questi organismi non produce costi aggiuntivi e gli amministratori, come già avviene adesso in organismi simili, non sommeranno ulteriori compensi alle indennità che già ricevono dai loro Comuni.

Concludo ricordando che la difficoltà di questa riforma è oggettiva, stante il fatto che non propone una fusione obbligatoria di Comuni. Sarebbe certamente più facile: un solo Sindaco ed un solo Consiglio comunale. Chiediamo, invece, a delle comunità (con diversi sindaci e diversi Consigli comunali) di decidere non più da sole ma assieme ad altre. E’ evidentemente un po’ più complicato perché “la democrazia ha un costo” (costa tempo e fatica) ma si può, a mio parere, comunque raggiungere l’obiettivo che d’altronde, per i motivi espressi, non è più rinviabile.

Pietro Paviotti
Capogruppo dei Cittadini – Vicepresidente della V Commissione

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